Aprile 2006.
Prosegue la mostra "in progress" dei dipinti da Netville.
Questa volta, nell'open space di Easybit, si ricompongono 35 quadri, costituiti in parte da dipinti con acrilici realizzati dal 2003 al 2005 e in parte da filmati delle transizioni dalle foto di origine ai dipinti (e viceversa).
L'opera esposta si estende su una superficie di 490 cm di larghezza per 250 di altezza.
Stesura manuale ed elaborazione digitale danno luogo in questo contesto a molteplici, spesso inattesi cortocircuiti.
Ne risulta infatti un processo che si potrebbe definire di "cinemazione", piuttosto che di "animazione", dell'immaginario contemporaneo filtrato dai nuovi media. Con una pratica che, per quanto di stampo antico e riflessivo, si pone tuttavia come "nuova pittura discreta".
"Sono tornato a Netville armato di pennelli, tele, una scorta essenziale di colori acrilici, nella primavera del 2003. Quasi dieci anni dopo averla fondata.
Sì, perché Netville è la mia Città. Posso esibirne le prove, a richiesta degli eventuali scettici: sono documenti d'archivio che testimoniano come la prima denominazione "Netville" sia stata da me creata il 18 luglio 1994 - data del mio cinquantesimo compleanno - e registrata il primo dicembre dello stesso anno presso gli uffici competenti.
Netville stentava, allora, ad essere percettibile: la diffusione degli strumenti tecnici minimi necessari per averne una qualche nozione era limitata agli ambienti universitari tecnico-scientifici e a una risretta fascia di cultori dell'innovazione (si trattava infatti di coniugare le risorse dell'informatica con quelle delle comunicazioni a distanza).
Eppure la nuova città telematica era già implicita nei tratti essenziali di molte applicazioni e di molti progetti: si parlava di "autostrade dell'informazione" (lo slogan delle campagne vincenti di Bill Clinton e del suo vice, Al Gore). E dove credete che portassero quelle autostrade? A Netville, of course... anche se, nel generale entusiasmo per le nuove frontiere, quasi tutti gli osservatori si concentravano sulle meraviglie della velocità e ben pochi si curavano dei "siti", reali o virtuali, che quelle autostrade promettevano di connettere.
Avendo fatta mia la nuova creatura, mi accollai l'onere di propagandarne l'esistenza come Città dei Monumenti in Rete: una serie di installazioni, non a caso chiamate "Passaggi a Netville" ebbero, fra il '95 e il '98, proprio quello scopo dichiarato e perseguito con ostinazione.
Sono tornato a Netville, dunque, dopo una serie di viaggi che da lì partivano e, inevitabilmente, sempre lì finivano per ripassare.
La ragione di questo andare e venire mi pare adesso abbastanza evidente: avevo assegnato un nome e dei "chioschi metropolitani d'accesso" a una città che, oggi, tutti quanti abitiamo e che si trova pressoché dappertutto.
Ma ci sono tornato con la caparbia determinazione di conoscerla (e di farla conoscere) sempre più a fondo.
"La natura, per noi uomini, sta più nella profondità che non in superficie" diceva Paul Cézanne.
Ebbene, dopo anni di progetti e installazioni basate sul flusso delle visioni e delle passioni nella città globale, interattiva e multimediale, per tentare di penetrare oggi nel tessuto di Netville ho sentito il bisogno di trattarla "con le mani", facendo scorrere il velo della superficie dipinta al di sopra e attraverso i molteplici strati mediatici in continuo movimento che ne costituiscono, a mio parere, la realtà vivente.
Potrebbe a questo punto sembrare che il mio percorso sia un cammino a ritroso: dal multimediale al quadro dipinto. Non è esattamente così. Anzi, le tele dipinte, nella loro - più che altro presunta - fissità, si possono integrare benissimo con la mutevolezza della visione digitale. E la possono nutrire con un grado ulteriore di riflessione e di forza.
Le tele mi servono anche per collocare fisicamente la mia presenza corporea nella dimensione della città globale: ho compreso infatti che ogni momento del mio lavoro finisce per fare parte di un unico disegno. E tale è infatti l'unico quadro che vado da anni, a pezzi, dipingendo. Una volta ultimata, ogni tela può prendere la sua strada e girare per il mondo, portando con sè le microstorie che contiene. Ma la sua collocazione originaria rimane inscritta nel tracciato globale che la lega alle altre. Questa mappa è registrata, rintracciabile, pubblicamente consultabile. Questo è il filo tenacissimo che tiene cucito l'abito leggero del virtuale al corpo vivo dell'opera in cui mi riconosco...
PS: di Netville sono, in quanto fondatore, principe. Per questo le mie opere le firmo così: netville" (Giorgio Vaccarino) |